Cari fratelli e sorelle
la Parola di Dio, che abbiamo ascoltato, illumina la nostra celebrazione eucaristica e il passaggio da questo mondo al Cielo del nostro fratello don Ruggero.
La prima lettura ci ricorda come Giuda Maccabeo abbia fatto offrire un sacrificio a Dio per il perdono dei peccati dei soldati morti in battaglia. Il gesto era suggerito dal pensiero della risurrezione… egli pensava alla magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà… Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato.
Giuda agisce così quasi due secoli prima della venuta di Cristo che con la sua Pasqua avrebbe vinto la morte e aperto per l’umanità il passaggio alla vita immortale. Quanto più dobbiamo seguire il suo esempio noi, illuminati come siamo dalla certa speranza nella risurrezione futura in Cristo Signore. Dobbiamo offrire per i nostri morti il Sacrificio di Gesù per il perdono dei loro peccati. Per questo celebriamo la santa Messa in suffragio dei defunti, come stiamo facendo anche questa mattina per don Ruggero. Non si tratta solo di un gesto di solidarietà umana, di un rito di elaborazione della morte. Per questo ci potrebbero forse essere altre modalità. Si tratta, invece, del Sangue di Cristo che lava le vesti del defunto per renderle candide e degne del banchetto pasquale del Regno di Dio.
La vita del nostro fratello, come la vita di ognuno di noi, è dunque sotto la luce del Vangelo, della buona notizia, unica nel suo genere: Gesù Cristo è il primogenito dei morti (Ap 1, 5a). Se Gesù è il primogenito dei morti, vuol dire che altri vengono dopo di lui: noi, suoi discepoli, battezzati nella sua morte e risurrezione. Con questa certezza di fede affidiamo al Signore don Ruggero e noi stessi.
La morte del nostro fratello e i lunghi anni di silenzio e di solitudine stanno nel grido di Gesù in croce: “Eloì, Eloì, lemà sabactàni?“… “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?“. In realtà nessun uomo è solo nel dramma della sua vita e nella sua sofferenza: quel grido dice che Gesù è lì con lui; nessun uomo è solo nella sua morte, Gesù è lì con lui. Questa certezza di fede ci consola, ma anche ci giudica perché uno dei compiti del cristiano è quello di essere segno della presenza e della consolazione di Cristo e questo diventa ancora più imperativo per noi sacerdoti: se non siamo accanto al sofferente, al morente, tradiamo il mandato di Cristo. Siamo chiamati a essere come il giovane vestito di bianco che dice alle donne venute al sepolcro di Gesù: Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Mentre il mondo prepara strumenti di morte, di morte dolce e gratuita, noi continuiamo ad annunciare la vita al di là della morte! È questa la speranza che illumina anche la sofferenza e la morte e rende possibile affrontarle con umana consapevolezza e fortezza spirituale. Amen.