Cari fratelli e sorelle, idealmente il nostro pellegrinaggio giubilare si chiude in questo santuario dove, come accade quasi sempre, la Madonna si è manifestata attraverso una persona semplice, un pastore povero e storpio.
All’inizio del nostro pellegrinaggio Gesù ci indicava la via della piccolezza evangelica: il Regno di Dio appartiene a chi come un bambino si pone in atteggiamento di fiducia verso Dio e verso gli altri. E oggi ancora: Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché ai piccoli hai rivelato i misteri del Regno (cfr Mt 11, 25).
Forse non è un caso. Possiamo raccogliere l’invito a farci piccoli come indicazione/frutto del pellegrinaggio. E non si tratta di un invito a un atteggiamento passivo, attendista e ripiegato. Tutt’altro. Ricordavo nella Lettera pastorale di quest’anno una bellissima espressione coniata cinquant’anni fa da Paolo VI per descrivere l’obiettivo di un Giubileo: «Bisogna rifare l’uomo dal di dentro». È proprio questo che Gesù ci suggerisce richiamandoci con insistenza alla piccolezza evangelica. Si tratta di riparametrare criteri e riferimenti della nostra vita non secondo la logica del mondo, ma secondo il Vangelo o, meglio ancora, di riparametrarci su di Lui: Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita (Mt 11, 29).
Abbiamo ricevuto il perdono e l’indulgenza per i nostri peccati, passando la Porta santa abbiamo consegnato a Dio le fatiche, i desideri, le gioie e le sofferenze del nostro cuore e delle persone che ci stanno a cuore. Ora raccogliamo con fiducia una parola di pace e di futuro per la nostra vita: farci piccoli per ricostruirci dentro. Il papa Paolo VI indicava anche tre ambiti di azione: il pensiero, il lavoro e il tempo libero. Ce ne sono tanti altri, ma questi possono essere delle teste di ponte perché toccano in realtà un modo di stare al mondo sempre più individualistico. Fare posto a Dio, alla sua Parola, alla conoscenza che ci viene dalla fede libera la nostra intelligenza dall’autoreferenzialità: sono io che penso ciò che è vero e ciò che è falso, ciò che è giusto. Questo modo di pensare finisce per omologarci al pensiero unico dominante, trasformandoci in tanti soldatini in un grande campo di battaglia. Il lavoro, in una mentalità che si diffonde, sta perdendo dignità e socialità per diventare un mero strumento per avere soldi da spendere. Non lavoro per costruire qualcosa di bello, di utile, per migliorare le condizioni dell’umanità, ma eseguo un compito che produce utile per me. Il tempo libero non finalizzato alla costruzione di relazioni crea noia e disinteresse, alimentando trasgressione e violenza. Forse queste cose non ci toccano direttamente, ma noi non possiamo disinteressarci della società in cui viviamo e alla quale siamo inviati come discepoli di Cristo. Siamo chiamati a prenderci cura del prossimo. Facendo posto a Dio smetteremo di sentirci al centro del mondo e sapremo fare spazio in noi anche agli altri, a partire dalla nostra famiglia e dalla nostra comunità ecclesiale e civile. Torniamo così alle nostre case, alle nostre quotidiane relazioni e incombenze. Ci accompagni l’intercessione di Maria, che ha saputo farsi piccola per accogliere il Figlio di Dio.