Cari fratelli e sorelle, le letture ascoltate possono anche evocare un ritratto pastorale del Vescovo Maturino: inviato da Dio, come il profeta Elia, immedesimato con Cristo Sacerdote che offre la vita per la salvezza dei fratelli, e lo fa con umiltà e mitezza, nello stile dimesso e coraggioso della vedova del Vangelo, lodata da Gesù.
Il pastore è un uomo di Dio, da Lui inviato per costruire in un determinato luogo e con persone ben definite un pezzo della sua grande Storia di Salvezza. La consapevolezza di essere strumento nelle mani di Dio per una missione ben precisa era radicata in Mons. Blanchet e fa capolino in tutti gli interventi rivolti al Clero attraverso il Bollettino diocesano. Sottolineo questo contesto perché rivela la sua profonda convinzione di non essere un uomo solo al comando, ma di essere alla testa di un corpo, il presbiterio, che si prende cura del popolo affidatogli da Dio: «Notre Seigneur Jésus-Christ parlant de ses Apôtres à son Père disait “quos dedisti mihi” [Ceux que tu m’as donné]. Je n’ai pas choisi mes collaborateurs – malheur à l’homme qui confie en l’homme – ; c’est le bon Dieu Qui me les as donnés. Et ce don m’est doublement précieux : d’abord parce qu’il me vient de Lui et ensuite à cause de ses qualités intrinsèques. Je suis fier et heureux de mon clergé». Più e più volte tornerà l’attestato di stima e di ammirazione del Vescovo per i suoi Sacerdoti, soprattutto in occasione delle visite pastorali. La missione affidatagli dal Signore è descritta con queste belle parole: «Déposer des âmes dans le cœur immortel de Jésus-Christ». Questo è per lui il compito dei ministri ordinati: portare al cuore di Cristo le anime, cioè far incontrare le persone con l’amore di Dio incarnato nel Signore Gesù vivente nella Chiesa.
Un’altra consapevolezza che traspare dai suoi colloqui riguarda il contesto sociale nel quale Vescovo e Sacerdoti sono chiamati ad operare. Ad esempio, quando arriva ad Aosta, parte dalla constatazione di come la società e la stessa comunità cristiana vivano divisioni e contrapposizioni. Per questo il ministero di portare le persone a Gesù non può che prendere la forma della riconciliazione e della pacificazione. Così scrive ai suoi collaboratori: «Dans nos relations et nos rapports avec les âmes… soyons éminemment Prêtres. Semons à pleine mains et à plein cœur tout ce qui est de nature à apaiser les contrastes… Notre mission n’est pas de déchirer mais de raccommoder ; n’est pas de meurtrir mais de guérir… Pour cela faisons œuvre de paix, d’union, d’amour». Quello dell’unità rimane un punto fermo nella sua predicazione e lo declinerà nelle varie situazioni: le tensioni nella Diocesi, che non nasconde, le contrapposizioni politiche ed elettorali, i disordini sociali legati al ‘68… Leggendo i suoi interventi, puntuali e precisi, osservo che il Vescovo rifugge sempre la polemica, non sottace mai la verità, mira sempre a unificare. Nell’ultimo colloquio, scritto il 15 ottobre 1968, indirizzato questa volta al clero e ai fedeli insieme, lascia intendere che l’opera di pacificazione e di comunione era un obiettivo programmatico del suo episcopato: «Se mi è permesso esprimere un desiderio farò mie le parole di S. Paolo ai cristiani di Filippi: “Abbiate sempre una condotta degna dell’evangelo di Cristo, affinché abbia a udire di voi che siete saldamente uniti nel medesimo spirito … Agite in tutto senza mormorazione e recriminazioni… Avrò così un motivo di fierezza per il giorno di Cristo, che non avrò corso a vuoto né invano faticato”».
Accanto all’unità un altro punto fermo è il richiamo al primato di Dio nella vita delle persone e delle comunità. Da questa convinzione discende l’importanza di coltivare la vita spirituale di pastori e fedeli e di privilegiare gli strumenti della grazia rispetto a quelli delle iniziative umane. È una costante del suo Magistero. Il primato di Dio, se vissuto, diventa annuncio a un mondo che si allontana dalla fede cristiana. Così scriveva nella Lettera pastorale dell’11 febbraio 1950: «Una sola cosa conquista le anime: la santità, vale a dire l’intensità della vita soprannaturale in noi. Dinanzi ad essa tutto cambia, tutto si trasforma. La santità fa sì che agli occhi di quelli che guardano a noi, un mistero si rivela, una presenza nascosta si lascia intravedere. Ed è di quello che i non credenti hanno bisogno per trovare o ritrovare la fede. Dio conduce a Dio». Sono parole che, dopo tre quarti di secolo, sono di una attualità bruciante; ci portano al cuore del cammino sinodale delle Diocesi italiane che ci urge alla missione e ci invita a viverla nello stile della prossimità.
Ci ottenga Mons. Maturino Blanchet questa conversione profonda. Amen.