Lectio Divina per l’incontro dei Ministri straordinari dell’Eucaristia

Priorato di Saint-Pierre

15-11-2025

Lc 10, 1-9

1Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.

Mi piace pensare che noi siamo nel numero dei settantadue discepoli. E voi in particolare, cari Ministri straordinari dell’Eucaristia. Non siete solo degli esecutori di un compito. Il vostro non è solo un ruolo funzionale. Siete invece degli inviati da Gesù e degli inviati di Gesù. È Lui che, attraverso la Chiesa, vi invia. Ed è Lui che voi portate. Questo spessore del vostro ministero sta nella parola: il Signore designò.

Settantadue: è un numero non casuale ma dall’alto valore simbolico. Quando Gesù invia i Dodici pensa alla missione a Israele; il numero dodici rinvia infatti alle dodici tribù del Popolo eletto. Settantadue invece apre alla missione universale; infatti la tavola dei popoli del capitolo 10 di Genesi ne conta appunto settanta, secondo la Bibbia ebraica, e settantadue secondo la versione greca dei LXX. Questo significa per noi che non facciamo scelta di persone, non escludiamo nessuno nell’esercizio del nostro ministero. Ci sentiamo mandati a tutti.

A due a due: dice la necessaria comunione che si traduce in collaborazione. Quando dico comunione penso a una dimensione accolta dal Signore, ma anche voluta, custodita e coltivata.

Perché sono mandati i discepoli? L’Evangelista dice che Gesù li manda davanti a sé (lett. davanti al suo volto), nei luoghi nei quali stava per recarsi. Per noi significa che non dobbiamo perdere il riferimento a Lui e anche che dobbiamo avere la consapevolezza che siamo strumenti della sua Presenza, della sua visita.

 

2Diceva loro: “La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!

Nell’AT (profeti e apocalittica) la messe abbondante rimanda al momento del giudizio finale di Dio sui popoli e sicuramente questa prospettiva escatologica è presente in Gesù assieme a quella dell’universalità della missione cristiana. Ci ricorda che la salvezza e la missione sono innanzitutto e fondamentalmente opera di Dio. La preghiera è il modo dei discepoli di entrare nell’opera di Dio, di farla propria.

 

3Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi;

Viene formulato in maniera esplicita l’invio: Andate. La missione ci chiede di metterci in movimento sia sul piano della conversione interiore sia sul piano del lasciare le proprie comodità per metterci al servizio del prossimo. Subito, poi, Gesù fa presente che la missione comporta per gli inviati rischi e ostilità del mondo. L’immagine usata da Gesù è biblica e anche letteraria; implica un invito alla non violenza che potrebbe farci pensare al momento dell’arresto di Gesù:

Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: “Signore, dobbiamo colpire con la spada?”. E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: “Lasciate! Basta così!”. E, toccandogli l’orecchio, lo guarì. (Lc 22, 49-51)

Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro… Gesù allora disse a Pietro: “Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?”. (Gv 18, 10-11)

Gli esegeti pensano anche un rimando implicito alla figura del servo sofferente di Jahvé:

Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. (Is 53, 7)

E questo io vorrei sottolineare per mettere in risalto la dimensione sacrificale della missione: la persecuzione e la fatica, nelle forme più diverse, non fanno venir meno l’amore e l’offerta di sé che diventano sorgente di salvezza, come ancora possiamo trarre dalla Passione/Morte di Cristo e ancora alla luce profetica del Servo di Dio:

Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. (Is 53, 4-5)

 

4non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.

La radicalità di queste esigenze esprime la totale fiducia in Dio che aiuta e sostiene i poveri che si affidano a Lui e ha anche un valore dimostrativo del messaggio del Regno che viene annunciato. Solo in Luca troviamo il divieto di salutare lungo la strada. Che significa? Tra tante possibili spiegazioni, mi pare più ragionevole quella proposta da alcuni esegeti: vorrebbe dire non far visita a parenti e amici durante il viaggio missionario.

Oggi? È evidente che una Chiesa stanziata nel tempo e nello spazio ha borsa, sacca e sandali E allora? La radicalità conserva il suo valore e si esprime con il non contare troppo su tecniche e organizzazione, valorizzando fiducia in Dio e relazione interpersonale sincera, vera. E questo vale sia per ognuno di noi personalmente sia per le nostre comunità.

 

5In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. 6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi.

È molto bello che si parli di casa, perché la parte più importante del vostro servizio si svolge proprio entrando nelle case di anziani e ammalati ai quali portate la comunione.

L’augurio della pace non è solo un saluto di cortesia, perché Gesù lo ha riempito di contenuto nuovo. La pace è il dono escatologico per eccellenza e quindi significa che  è iniziato il tempo finale della salvezza, come annunciato dai Profeti:

Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”. (Is 52, 7)

Ecco sui monti i passi d’un messaggero che annuncia la pace!  Celebra le tue feste, Giuda, sciogli i tuoi voti, poiché il malvagio non passerà più su di te: egli è del tutto annientato. (Na 2, 1)

La pace annunciata, augurata è segno della Salvezza portata da Cristo. Non si tratta di una pace qualsiasi. La vostra pace è il dono di Gesù che i messaggeri sono incaricati di portare, ma prima ancora il dono che devono accogliere. Per essere costruttori di pace bisogna avere pace nel cuore. San Francesco, nel Testamento dice: «Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: il Signore ti dia pace». Ammoniva così i suoi primi fratelli: «La pace che annunziate con la bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori. Non provocate nessuno all’ira o allo scandalo, ma tutti siano attirati alla pace, alla bontà, alla concordia dalla vostra mitezza». L’augurio e la preghiera contenuti nel saluto dicono che la pace è dono di Dio, ma anche che non è possibile annunciare il Vangelo, portare Gesù senza lavorare per la pace. San Francesco ci fa capire che la pace ha a che fare con il rispetto per tutto ciò che Dio ha creato, a partire dalle persone umane, che siamo chiamati a custodire e proteggere.

 

7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.

La raccomandazione di Gesù è che i suoi collaboratori, sul suo esempio, stabiliscano la comunione di tavola con chi li ospita senza timore (purità) e senza pretese, accontentandosi. Anche qui l’applicazione alla nostra vita e alle nostre relazioni è immediata, ma abbisogna di quella concretezza che ognuno di noi solo può mettere.

 

8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, 9guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”.

Sottolineo innanzitutto il contenuto della missione: “È vicino a voi il regno di Dio”. Il Regno è vicino, perché il Regno è il Figlio di Dio fatto uomo, è Gesù, è la comunione con Lui. Gesù è vicino perché è presente nella fede condivisa e nell’Eucaristia, è vicino perché atteso nella speranza per il compimento futuro della Salvezza.

Importante anche la modalità: guarire e dire / gesto e parola. Le guarigioni sono il segno della vicinanza del Regno che viene annunziato. Nella guarigione l’uomo ricupera, per intervento divino, la sua integrità umana. La visita, la preghiera condivisa, la comunione eucaristica sono segno di questa guarigione interiore che sempre Gesù, Medico delle anime e dei corpi, porta.

Vorrei concludere con le parole rivolte da Gesù ai discepoli quando tornano dalla missione pieni di gioia, dicendo: “Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome”. Gesù conferma che ogni azione missionaria è lotta contro Satana, liberazione dell’uomo che si trova sotto il potere delle forze del male significato dalle malattie. La solitudine, l’ansia, l’angoscia che a volte tormenta la vita degli anziani e degli ammalati è tentazione del Maligno. Lo dice con chiarezza il Libro liturgico che la Chiesa dedica alla cura pastorale degli ammalati e al sacramento dell’Unzione. Quando, il Giovedì santo, il Vescovo benedice l’olio degli infermi prega così: «O Dio Padre di ogni consolazione che per mezzo del tuo Figlio hai voluto recare sollievo alle sofferenze degli infermi… effondi la tua santa benedizione perché quanti riceveranno l’unzione ottengano conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito, e siano liberati da ogni malattia, angoscia e dolore…». Poiché la Chiesa crede come prega, la nostra fede si lascia illuminare dalla Liturgia del sacramento dell’Unzione degli Infermi i cui effetti sono così presentati dal Catechismo della Chiesa Cattolica: «La grazia fondamentale di questo sacramento è una grazia di conforto, di pace e di coraggio per superare le difficoltà proprie dello stato di malattia grave o della fragilità della vecchiaia. Questa grazia è un dono dello Spirito Santo che rinnova la fiducia e la fede in Dio e fortifica contro le tentazioni del maligno, cioè contro la tentazione di scoraggiamento e di angoscia di fronte alla morte…». (n. 1520).

La visita eucaristica del Ministro esprime la Presenza del Signore, spezza l’accerchiamento del male e diventa segno dell’azione di Cristo che guarisce, solleva, salva.  Nella parola della missione e nei gesti che l’accompagnano si diffonde la forza vivificante e sanatrice del Regno di Dio alla conquista del mondo.

Gesù però aggiunge un ammonimento che facciamo nostro: Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli (v. 20). È questo il vero motivo di gioia, una gioia più profonda e vera e sicura che scaturisce dalla fede che ci certifica di essere amati da Dio e da Lui eletti. È questa anche la certezza che accompagna il nostro servizio e la nostra vita. Lo dico con le parole di Santa Teresa d’Avila: «Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa, solo Dio non cambia. La pazienza ottiene tutto. Chi ha Dio non manca di nulla: solo Dio basta! Il tuo desiderio sia vedere Dio, il tuo timore, perderlo, il tuo dolore, non possederlo, la tua gioia sia ciò che può portarti verso di lui e vivrai in una grande pace» (Lettera a Suor Maria Battista, priora di Valladolid, 2 novembre 1576).

condividi su