Giornata del Malato

11-02-2024

 

Carissimi, vi invito a fermare l’attenzione sul gesto con il quale Gesù risponde all’invocazione del lebbroso: Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò. E’ un gesto di rivelazione prima che un gesto di bontà. In questo modo Gesù dice che Dio, nel suo rapporto con gli uomini, è compassionevole e, attraverso l’umanità del Figlio, si coinvolge nella storia degli uomini, si fa solidale con loro fino a toccare la loro carne malata. Così il Padre di Gesù Cristo si comporta verso tutti, piccoli, malati, peccatori, nessuno escluso.

Quando ci ha creati ha iscritto nella nostra natura questa apertura e attenzione all’altro dicendo: Non è bene che l’uomo sia solo (Gen 2,18). Così, la nostra vita, plasmata a immagine della Trinità, è chiamata a realizzarsi nelle relazioni di amicizia, di fraternità e di amore. Siamo creati per stare insieme, non da soli. Papa Francesco, nel Messaggio per la Giornata odierna, afferma che «proprio perché questo progetto di comunione è inscritto così a fondo nel cuore umano, l’esperienza dell’abbandono e della solitudine ci spaventa e ci risulta dolorosa e perfino disumana. Lo diventa ancora di più nel tempo della fragilità, dell’incertezza e dell’insicurezza, spesso causate dal sopraggiungere di una qualsiasi malattia seria».

E’ questo l’orizzonte della Giornata che celebriamo. E oggi, soprattutto in questo nostro occidente decadente, è urgente richiamarlo perché il tempo della vecchiaia e della malattia è spesso caratterizzato dalla solitudine e, qualche volta, addirittura dall’abbandono. Il Papa fa un’analisi molto dura: «Questa triste realtà è soprattutto conseguenza della cultura dell’individualismo, che esalta il rendimento a tutti i costi e coltiva il mito dell’efficienza, diventando indifferente e perfino spietata quando le persone non hanno più le forze necessarie per stare al passo. Diventa allora cultura dello scarto, in cui “le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se ‘non servono ancora’ – come i nascituri –, o ‘non servono più’ – come gli anziani” (Enc. Fratelli tutti, 18)».

Purtroppo questa cultura dell’individualismo e del rendimento ha contagiato nel recente passato anche la politica che ha pensato di poter aziendalizzare la sanità, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Ci auguriamo che si voglia invece ripartire dalla dignità della persona umana e dei suoi bisogni e favorire «strategie e risorse necessarie per garantire ad ogni essere umano il diritto fondamentale alla salute e l’accesso alle cure».

Sappiamo poi che non bastano le prestazioni sanitarie, ma che sono necessari prossimità e accompagnamento. E qui siamo chiamati direttamente in causa come Chiesa e come singoli cristiani. Faccio mio l’appello del Papa: «prendersi cura del malato significa anzitutto prendersi cura delle sue relazioni, di tutte le sue relazioni: con Dio, con gli altri – familiari, amici, operatori sanitari –, col creato, con sé stesso. È possibile? Si, è possibile e noi tutti siamo chiamati a impegnarci perché ciò accada. Guardiamo all’icona del Buon Samaritano (cfr Lc 10, 25-37), alla sua capacità di rallentare il passo e di farsi prossimo, alla tenerezza con cui lenisce le ferite del fratello che soffre».

Come comunità, come sacerdoti e diaconi, religiose e operatori pastorali nel mondo della salute prendiamoci cura delle persone anziane e ammalate, in particolare se sono sole, assistiamo i loro familiari e tutti quanti si prodigano al loro servizio.

E di questa rete voi, cari anziani e ammalati, non siete solo destinatari, ma anche protagonisti offrendo a giovani e anziani, sani e ammalati la vostra mano tesa, la vostra preghiera, il vostro ascolto, il vostro consiglio! Dio ci accompagni!

 

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